domenica 17 giugno 2012

MPRESSIONI DI VIAGGIO DI UN WEEKEND AD ISTANBUL

IMPRESSIONI DI VIAGGIO DI UN WEEKEND AD ISTANBUL

Un Paese lanciato verso una rapida e crescente modernizzazione: questa è l’immagine che negli ultimi anni caratterizza la Turchia e che il viaggiatore diretto ad Istanbul percepisce sin dall’arrivo all’aeroporto. Chi sceglie di volare low cost su Istanbul, atterra nel modernissimo aeroporto di Sabiha Gokcen e può sperimentare l’efficienza dei servizi a terra ed i fornitissimi negozi duty free. Il tragitto verso la città, se effettuato con i mezzi pubblici, richiede l’utilizzo di un pullman e poi un passaggio in traghetto sul Bosforo, dall’imbarco di Kadikoy - sulla sponda asiatica - all’attracco di Eminonu, da cui è possibile prendere un tram veloce che attraversa il ponte di Galata e collega Sultanahmet, il cuore storico di Istanbul, con i quartieri più moderni di Beyoglu e i villaggi sul Bosforo.
A prima vista, la lunghezza di questo percorso e la necessità di cambiare più mezzi potrebbero indurre a scegliere il taxi, ma si commetterebbe un errore. Purtroppo, il vento di modernità che si respira a Istanbul non ha ancora investito i taxisti, che nella maggior parte dei casi non parlano altra lingua che il turco e tendono a gonfiare i costi delle corse, soprattutto nelle ore notturne. In qualche caso, può addirittura succedere che i conducenti dei taxi non conoscano dove si trovi la vostra destinazione e si rifiutino di accompagnarvi.
L’esperienza di muoversi in tram ad Istanbul consente, sin da subito, di entrare nello spirito della città, che appare ben lontano dal quell’atmosfera di triste malinconia che, a giudizio di illustri scrittori come Orhan Pamuk, era percepibile anche allo straniero che visitasse la città cinquanta o sessanta anni fa. Il disordinato accalcarsi delle persone alle fermate principali dei mezzi pubblici, i ragazzini letteralmente appesi all’esterno dei tram che percorrono la Istiklal Caddesi, l’arteria commerciale di Beyoglu, le signore cariche di acquisti alla fermata nei pressi del mercato delle spezie: questi frammenti di vita quotidiana comunicano felicità e desiderio di godersi il nuovo benessere. La stessa sensazione si ritrova nei pressi del ponte di Galata, dove - soprattutto nei giorni festivi - gruppi di amici e famiglie siedono nei numerosi ristoranti con vista sul Bosforo e sulla sponda asiatica, o semplicemente gustano un panino con il pesce abbrustolito su griglie fumanti, ai lati delle quali fanno bella mostra di sé peperoncini e verdure di vario tipo. L’aria di festa domina nel periodo primaverile gli spazi verdi della città, che non sono in verità molto estesi; in compenso, soprattutto nella zona dei monumenti di Sultanahmet - dove sono concentrati la Moschea Blu, l’ex chiesa di Haghia Sophia, l’ippodromo e il palazzo Topkapi – i parchi si colorano di tulipani che fioriscono rigogliosi ovunque, anche nelle aiuole spartitraffico, in occasione dell’annuale festival dedicato a questi fiori.
La visita ai tesori storici ed architettonici della zona di Sultanahmet richiede molto tempo, anche a causa delle lunghe code alle biglietterie. Senza nulla togliere all’importanza dei siti che si trovano in questa zona, il loro sfruttamento turistico è veramente imponente e fa riflettere chi viene da un Paese come l’Italia, che purtroppo non brilla per la capacità di valorizzare le proprie bellezze e di farne anche un’importante voce della propria economia. In questa parte di Istanbul si eccede forse sul versante opposto: i biglietti di ingresso sono piuttosto cari e la vendita di souvenir, sia nei canali ufficiali che in quelli scopertamente abusivi, è davvero capillare e a tratti eccessiva.
Lasciando la zona più turistica di Istanbul e addentrandosi nei quartieri occidentali, si viene a contatto con una realtà in parte differente da quella sin qui descritta. La presenza della religione islamica - che risuona, letteralmente, anche nelle altre parti della città attraverso gli inviti alla preghiera che si alzano dalle moltissime moschee - si fa maggiormente evidente nei comportamenti e nell’abbigliamento delle persone. E’ tutt’altro che infrequente, ed anzi è molto diffuso tra le donne, l’uso del velo e di altri vestiti che coprono quasi interamente il corpo e il volto; può anche capitare, com’è accaduto a chi scrive, che per essere serviti da un negoziante in un piccolo esercizio commerciale si debba attendere che egli si rialzi, dopo essersi inginocchiato qualche minuto in direzione della Mecca per pregare.
Anche nelle zone più tradizionaliste della città lo sguardo dei giovani appare comunque rivolto al mondo occidentale. In un ristorante ai piedi del maestoso acquedotto di Valente, il giovane gestore -  alla mia richiesta di una birra - risponde, con aria seriosa, che ci troviamo di fronte alla moschea e che perciò sarebbe sconveniente servire alcolici nel suo ristorante. Al termine della cena, dopo essersi seduto al mio tavolo, mi dice con orgoglio che sta studiando inglese e mi chiede se lo aiuto a completare le frasi in inglese dei suoi esercizi.
Il viaggiatore europeo che non desideri abbandonare neppure per un giorno le proprie abitudini, deve trascorrere il suo tempo nella zona di Beyoglu, la parte più moderna della città, nella quale si respira quella voglia di modernità occidentale che permea la città. Sarebbe sbagliato considerare questa parte della città la meno originale, in quanto più globalizzata e più lontana dall’immagine misteriosa e malinconica che spesso il viaggiatore europeo ha di Istanbul. Se indubitabilmente la vita notturna di questo quartiere si svolge in locali e secondo stili non molto diversi da quelli di una metropoli europea, c’è sempre qualcosa che, fortunatamente, “stona” rispetto a questa cornice. Così, capita che all’ombra di un negozio di una grande catena di abbigliamento, lungo la Istiklal Caddesi, o in una delle stradine laterali, ci si imbatta in capannelli di persone che gustano cozze crude servite da un venditore ambulante; oppure, salendo per uno di questi vicoli, ci si può trovare in un luogo in cui il tempo si è fermato, come al Galatasary Hammam; o, ancora, si possono scoprire in uno dei negozietti di Cukurcuma oggetti di modernariato per noi ormai introvabili. Francesco Semeraro

Nessun commento:

Posta un commento