domenica 17 giugno 2012

Non averer paura conoscersi per curarsi


1. Ho tradotto
n parole la mia interiorità.

Ho iniziato a scrivere, con  quei drenaggi che purificavano il mio sangue, traducendo in parole l’interiorità  che voleva essere  svelata perché il cambiamento derivato dal cancro mi ha obbligato, sin dai primi giorni, ad una maggiore trasparenza. E sono nate tutte quelle riflessioni che via via ho pubblicato poi in testi diversi e che riportavano quella nuova luce che andavo a scoprire. Da alcune lettere che costituiscono il mio primo libro - Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso -  ho ripercorso il mio vissuto e quello delle persone a me care. Attraverso quelle lettere ho sanato le affettività malate riportando alla luce tutti i nodi irrisolti, quelli che hanno avuto origine sin dall’infanzia, e che nel loro spessore hanno contribuito a delineare una persona meno autentica, quel tanto socievole ed accomodante da non scompaginare vecchie abitudini, legami inossidabili.

Questi undici anni mi sono serviti per riflettere sul cancro come una  forma mentis e mi sono stati necessari  per raccogliere dati, studi, testimonianze a cui mi offro come volontaria, esperienze di terapie di gruppo vissute anche in prima persona per affermare, oggi, che ci si può difendere dal cancro.

Raccolgo quotidianamente dati incontrovertibili che mi obbligano da un pensiero più ampio. Dati acquisiti da esperienze di uomini e donne con cui parlo, da testi scientifici scritti da medici e non solo, ricavati soprattutto da quel grande contenitore emotivo delle donne  perché sono quelle  che sanno bilanciare, se lo desiderano, maggiormente l’impatto emotivo derivato da qualsiasi esperienza traumatica o legata alla malattia. Le donne sanno rischiare più facilmente sulla propria pelle e più facilmente hanno la capacità di mettersi in gioco. E siamo ancora noi le più facilitate per natura ad esternare l’aspetto sentimentale della vita, che trovo essere l’elemento propulsore che può alleggerire una vita o castigarla per sempre.
La malattia credo  voglia sfondare quel muro dell’emotività come segno tangibile di verità che non va manomessa. Dobbiamo essere tutti noi consapevoli che il cancro  può suggerirci altro. La malattia ci chiede di andare ben oltre il medicamento o la cura della parte malata. Se dobbiamo parlare di cura reale dobbiamo anche investire maggiormente in forze nuove, dobbiamo cercare altre strade su cui battere la nostra conoscenza. Poiché il corpo, spesso,  parla di una parte malata ben più cronicizzata, una parte della nostra interiorità su cui noi dobbiamo imparare ad affacciarci. Il tumore può aiutare verso una conoscenza più profonda e meno superficiale. La mia esperienza, durante questo cammino e corollario di dati, è stata ed è  la mia forza; la conoscenza  e l’approfondimento scientifico sono la mia verifica.

2 La strada della conoscenza

La prima domanda che dobbiamo porci è questa: ci sono strumenti validi, oltre la medicina intesa come scienza, a cui possiamo attingere  per combattere il cancro? Quanti di noi ci credono veramente?
Gli strumenti sono sicuramente molti e svariati. Ognuno pertinente ad ogni singolo uomo,  come  del resto la malattia ha caratteristiche uniche ed individuali. E come oggi si tende alla personalizzazione della terapia in un percorso finalizzato alla cura biologica, ugualmente la ricerca per essere più efficace deve tendere alle risorse individuali legate all’interiorità, al mondo delle sensibilità di ognuno di noi. Dobbiamo focalizzare quali possono essere in ognuno di noi le espressioni spirituali  che ci caratterizzano come individui nella ricerca di una propria autenticità, che ha bisogno di esprimersi nella sua forma libera attraverso quegli strumenti che andiamo a ricercare in un percorso di cura totale.
Solo imparando a conoscerci attraverso una lettura interiore, consapevole e anche faticosa, riusciamo a dotarci di quegli strumenti e di quelle competenze nuove che nel tempo aumenteranno la nostra fiducia, le nostre capacità. Sono ampie le possibilità che possiamo incontrare se noi non tendiamo sempre ad inibire ciò che appartiene alla sfera della creatività, dell’immaginario, in un processo che spesso scegliamo di negazione e non di assoluzione.
Per la catarsi dobbiamo necessariamente assolverci. Dobbiamo assolverci, o più facilmente perdonarci, per contribuire, in tal modo, anche al risanamento delle nostre cellule. E per farlo siamo obbligati a darci il tempo della riflessione, del silenzio, della fatica. Credo che qualsiasi risanamento interiore così come qualsiasi relazione affettiva, goda maggiormente del beneficio della salute psico-fisica se contribuiamo in prima persona a quel benessere la cui prevenzione è data anche da un’educazione alla fatica.
E’ fuorviante pensare che le relazioni come la salute possano essere semplici e autodefinite nella loro espressione autentica senza essere mediate dalla consapevolezza di una costruzione anche faticosa della conoscenza reciproca e personale. Credo, anzi, che l’impegno e la fatica di una conoscenza, che non sarà mai totalizzante, possano notevolmente contribuire alla costruzione di un rapporto fecondo e appagante. La fatica nella costruzione di un dialogo e la fatica di una lunga introspezione possono svelare nel tempo le loro grandi appartenenze, le loro grandi opportunità. E così il processo verso la conoscenza del cancro prevede questa strada faticosa ma anche fortemente terapeutica per chi si aiuta ad intraprendere questo viaggio nuovo verso l’approfondimento della propria interiorità. Dobbiamo costruire molto su questa strada ed attivarci perché qualsiasi risorsa possiamo reperire è un atto in più di fiducia che costruiamo verso la malattia.


. La Scrittura come forza terapeutica

La scrittura è stata lo strumento a me più congeniale, la mia risorsa,  quella che mi ha obbligata a guardarmi dentro, permettendomi di andare oltre, di trascendere  lo spazio della consuetudine. Quella di voler vivere diversamente era la vera battaglia che avevo da combattere…

Come afferma il teologo Paul Tillich,

per essere guarito, lo spirito deve lasciarsi cogliere da qualcosa che lo trascende, che non gli è estraneo, ma entro cui si realizzano le sue potenzialità ( cit.in Hirshberg e Barash, 1996, pp. 190-191)

Per vissuto personale, prima del cancro,  ho attraversato un periodo di grosso stress psicologico. Non avevo tregua e percepivo quanto stavo danneggiando la salute del mio corpo perché le tensioni erano troppo alte. Non dormivo più di notte e i sentimenti negativi come la rabbia ed il rancore prendevano sopravvento. Stavo massificando il mio dolore. Solo sei mesi sono stati sufficienti per l’esito infelice. Avvertivo che davo messaggi sbagliati al mio corpo, che il dolore interiore spazzava via qualsiasi buona possibilità. Le passioni mancavano, i sogni svanivano, la vita era sempre uguale senza variazioni. Una depressione acuta toglieva qualsiasi possibilità di sperare nel futuro perché tutto era fermo a quel problema, a quella difficoltà che aumentava il suo peso senza permettermi di uscire dal tunnel. Il cancro prima, la scrittura come terapia subito dopo l’intervento che mi ha fermata in riflessioni continue su quel cancro per leggere la sua vera natura, mi hanno facilitato il cammino della trasparenza.
L’attività della scrittura introspettiva costringe la persona ad incontrarsi con il rimosso, con i nodi irrisolti della sua vita. Credo, per averlo vissuto, che la scrittura, se abbiamo il coraggio di avventurarci nel viaggio imprevedibile dell’interiorità, possa aiutare a elaborare anche il dolore più acuto.

David Grossman ha scritto un libro intenso che fa riferimento al sostegno della scrittura, al potere conoscitivo che da essa ne deriva. In  Con gli occhi del nemico. Raccontare la pace in un paese in guerra egli fa riferimento al forte legame che si instaura fra scrittura e psiche.

Io scrivo. Il mondo non mi si chiude addosso, non diventa più angusto. Mi si apre davanti, verso un futuro, verso altre possibilità. Io immagino. L’atto stesso di immaginare mi ridà vita. Non sono più pietrificato, paralizzato dinanzi alla follia…Io scrivo. E mi rendo conto di come con un uso appropriato e preciso delle parole sia talvolta una sorta di medicina che cura una malattia. Uno strumento per purificare l’aria che respiro…Quando scrivo riesco ad essere un uomo nel senso pieno del termine, un uomo che si sposta con naturalezza tra le varie parti di cui è composto; che ha momenti in cui si sente vicino alla sofferenza e alle ragioni dei suoi nemici senza rinunciare minimamente alla propria identità  ( Grossmann, 2008, pp. 41 -42)

A questo tema della “ scrittura terapeutica” mi sento legata per esperienza diretta e attraverso essa cercherò sempre di riprendere quel filo rosso della conoscenza. La scrittura intesa come elemento di separazione da tutto e da tutti. Scrivevo nella mia testimonianza  pubblicata nel 2005:

La malattia mi ha segnato profondamente, ma anche creato in me nuove energie, fecondità che non avrei mai creduto di poter esprimere…Ho sentito il bisogno di scrivere, tracciando un percorso introspettivo, faticoso e duro, ma di grande potere rigenerativo per la mia mente e la mia persona. E’ nata così la mia autobiografia…Ho iniziato a guardarmi allo specchio senza scappare e con occhi nuovi . ( Scarpante, 2005, pp. 6-7)

E non diversamente avevo annotato  in un altro scritto:

Mi sto aiutando. Con in mano questa penna e davanti ad un foglio bianco, voglio tentare di ritrovarmi ancora. Ho già scritto tante riflessioni, un manoscritto che spero di pubblicare a breve, è nato dopo la malattia, soffermandomi poco, però, su quella che consideravo una tragedia, ma che si è rivelata un’esperienza ricca e che mi ha salvata.
Il mio incontro con il tumore alla mammella è stato dirompente, come penso per tutte noi donne. Tutto è iniziato quattro anni fa, nell’estate del 1998. Da poco venivo via da un periodo difficile e sofferto. La tipica crisi matrimoniale mi ha messo a dura prova e non ho avuto forze necessarie per contrastarla. Le mie autodifese si sono sterilizzate e ho immagazzinato eccessivo dolore per poter uscire indenne da una situazione che psicologicamente non mi dava tregua…Solo oggi riesco a descrivere quei giorni di sofferenza, perché voglio aiutarmi nel ricordo del mio vissuto, voglio aiutarmi per superare quel dolore. Credo che il male si possa attenuare solo parlandone, cercando di esternare quelle emozioni forti che si sono attaccate addosso e da cui ci possiamo salvare, se lo vogliamo in un cammino di speranza.
( Scarpante, 2005, pp.3-5)

“L’attività della scrittura costringe la persona ad incontrarsi con il rimosso, i nodi irrisolti della sua vita”scrive ancora Duccio Demetrio nei suoi testi, con parole che  rimbalzano verso la mia anima perché ho assaggiato quelle spinte interiori che, se affrontate, liberano la mente ed il corpo da un peso che, a distanza di tempo, poteva permutarsi in sovraccarico ulceroso.
Ho incontrato il mio rimosso stando molto male e ho avuto la capacità di attraversare quel dolore per evolverlo verso la conoscenza, la libera espressione della mia autenticità. La nostra autenticità è un valore immenso a cui noi tutti dobbiamo sentirci indirizzati esprimendola nelle sue peculiarità e fecondità. Seguire questa direzione ci libera e ci disorienta al tempo stesso, ma ci costruisce immensamente insegnandoci a vivere la nostra vita nel pieno della sua espressione.

Di tutti questi temi me ne occupo nel  testo pubblicato due anni fa con la Casa Editrice San Paolo e il cui titolo è: “ Non avere paura. Conoscersi per Curarsi.”E anche con il nuovo libro pubblicato quest’anno dal titolo: “ Storia di Maura”Ed San Paolo
Una rete sta prendendo sempre più forza e le testimonianze sono quell’ elemento fondante che accresce il tessuto della conoscenza e a cui noi dobbiamo fare riferimento per ritemprare le nostre forze.
Come Counsellor Trainer mi occupo di corsi di scrittura terapeutica attraverso enti diversi a Milano e nella nostra associazione “ La Cura di sé” di cui sono presidente.

Marinella Sonia Scarpante
Scrittrice: si occupa di corsi di scrittura terapeutica.

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