mercoledì 15 febbraio 2012

Dalle Cortesie del desco di Milanin Milanon

 Dalle
Cortesie del desco
 di Milanin
 Milanon

Bonvesin de la Riva, doctor et magister milanese ( 1243-1315), diligentissimo illustratore della metropoli lombarda, nell’opera “ Le meraviglie di Milano“ fu anche precursore, con tre secoli di anticipo, di Monsignor della Casa, come dimostra il suo poemetto didascalico  Cortesie del desco. Opera di costume interessante, data alle stampe nell’Ottocento e conosciuta da pochi studiosi.

Comincia così: “ Chi si siede alla mensa deve anzitutto benedire il cibo, ringraziando Dio che glie l’ha donato e non dimenticare il dovere della carità verso il povero. L’uomo civile e prudente non si accomodi in un posto d’onore donde debba essere allontanato; non posi braccia e gambe sul desco; sia misurato nel mangiare e nel bere, non parli con la bocca piena, né beva prima d’averla forbita. Non sorbisca rumorosamente i liquidi, non spruzzi la mensa starnutando o tossendo. Non biasimi il cibo, non guardi nei piatti degli altri, non metta sottosopra il piatto comune alla ricerca del boccone migliore. Non bisogna sputare, né maneggiare cani e gatti, né leccarsi le dita, né commettere indelicatezze del genere. Per la pulizia del naso sono raccomandate le pezze da piedi “(antenate del nostro fazzoletto).

Forse con qualche particolare rustico in meno, sono le stesse norme che si trovano nel Galateo di  Giovanni della Casa, libro scritto con eleganza di lingua. Non solo un trattato di etichetta ma un compendio di insegnamenti morali, dettati da una raffinata cultura. Tra l’altro, vi fa spicco la  condanna dell’intemperanza nel bere.
Invece, secondo Bonvesin de la Riva, amante del buon vino, ai suoi tempi Milano era un grande emporio vinicolo, come si poteva notare dal via vai di carri colmi di botti che giungevano dal contado. Allora la vite da vino era ampiamente coltivata in tutta la  Bassa Lombarda, fino a Gaidu ( Ghedi ), Monte Clarus ( Montichiari) e non parliamo delle sponde del  Benacus nunc Garde Lacus. Senza contare le Vallis Isei, che corrispondono all’odierna Franciacorta.

Inoltre -  come racconta Bonvesin -  all’ Abbazia cistercense di Chiaravalle Milanese, fondata nel 1135 da San Bernardo, vi era annessa una cantina dotata di enormi botti, nelle quali poteva entrare un guerriero a cavallo,  con la sua brava lancia in resta. Impresa da armata Brancaleone e che ora sarebbe da Guinness dei primati.
° Allo storico teatro Carcano di Milano, la sera di domenica 23 novembre  1845, alle ore otto, si tenne un duplice e non plus ultra trattenimento, a cura di Giuseppe Moncalvo, intitolato: “Meneghino taglialegna e medico per forza” e  “Il naufragio di Meneghin e Cecca”, laddove la tipica maschera della Milano popolare diventa  persino “schiavo in Turchia”. In seguito però si fa valere come cuoco, considerato un eroe dai suoi padroni ma condannato al palo per i giudici “. Nella locandina , stampata della tipografia Brambilla, si esortano gli spettatori a prendere posto in anticipo sull’orario della rappresentazione.

“ De bass e dessora, per rid a pu non poss col Meneghin. E  poeu ai Do Spad a beven on gottin “.  In platea e nei palchi per ridere a più non posso con Meneghino. E dopo, all’osteria delle Due Spade a berne un goccino.
Meneghino o Domenichino, il cui nome significa servo della domenica, deve la sua fama secolare a Carlo Maria Maggi, segretario del Senato milanese, nella seconda metà del Seicento e autore della commedia “I consigli di Meneghino” inserita  nelle “Poesie milanesi”, pubblicate a Milano nel 1701. Opera di notevole valore, lodata dal Muratori, poi dal Parini e dal Porta. Il Maggi venne considerato la “gloria del lenguagg noster meneghin“.

° Gira e rigira, il vissuto della capitale dei lumbard è rimasta simile a quello descritta da Emilio De Marchi all’inizio del Novecento . “ Sto Milan Milanon el sarà bell, no disi. Gh’è di piazz, di teater, di cà, di contrad, di palazz, di bottegh, istituti che ai nostri tempi c’erano solo a Parigi; gente che va, che corre, tace e sbuffa, su e giù per i tramvai, su e giù per i treni a vapore, di giorno e di notte, che non si trova un cane per fare il quarto”.

Il De Marchi, autore del romanzo Demetrio Pianelli, ritrae magistralmente la società piccolo borghese della sua epoca. Per esempio, nel saggio Milanin Milanon, citato sopra,  lamenta la continua mancanza del quarto giocatore per una partita a briscola. Ciò dimostra che, a quei tempi, si lavorava per molte ore al giorno. Si tirava la carretta fin quando “se podeva“, quindi nemmeno uno scampolo di tempo libero.

° Ma seguiamo l’attento  cronista Emilio De Marchi, quando si addentra nelle beatitudini dell’hinterland milanese : “.... Perciò chi arriva a Cernusco, a mezzo della linea per Lecco, dopo mezz’ora di cammino tocca a Montevecchia una delle più belle alture della Lombardia. Celebre per i suoi formaggi salati, che chiamano il vino ad alta voce, si meraviglierà di trovarvi  invece di uno dei soliti hotels poco naturali, un bettolino rustico, sotto un pergolato, con le panche piene di legno elastico, l’oste in zoccoli, sprovvisto di pan fresco e di comfort. ..... “.
E poi così prosegue “  D’autunno ho veduto a Montevecchia delle viti puntellate per il peso dei grappoli; se ne fa poi quel claretto che si beve in tutte le osterie di Milano, basta che la fede ci illumini. Da Monza oggi si va fino a Monticello con un tram, che si arrampica  coraggiosamente sopra certi cigli e certe rive che  mettono... appetito. Il paese è pulito , con molti villini in giro e dal sagrato della chiesa , si vede un orizzonte sereno ( quand’è sereno) e una pianura seminata di paesi e di ville, che sembrano ochette bianche in un lago. All’Hotel va chi vuol spendere: c’è abito nero e coda di rondine. Ma non manca un altro albergo alla buona, con polpettine sempre pronte e un vino galantuomo come l’oste “.

° Con le bosinate milanesi, siamo al cospetto delle canzoni popolari  narrative in voga per tutto l’Ottocento. Coinvolgevano non solo Milano ma la intera Brianza, la Lomellina, la Bergamasca ed erano praticamente diffuse in tutta l’Italia settentrionale. Eccovi, ad esempio una strofa della cantata “ De tant piscinin che l’era“, tratta dal repertorio dello chansonnier  milanese Enrico Molaschi, chiamato Barbapedanna. “ Cont un mezz bicer de bira/ l’è stàa ciocch tutt’ ona sira ,/ n’haan vanza ancamò on gottin,/ ghe l ‘haa  dada al fradellin:/ l’è staa ciocch anch’ lu on ciccin,/ tant che l’era  piscinin...”

Siamo a metà dell’Ottocento, quando la Lombardia era ancora costretta a subire il dominio austriaco. Pur insofferente agli sbirri, la gente fu  lusingata dalla possibilità di bere la birra, considerata bevanda esotica di successo. Difatti, un bavarese, Pietro Wührer, aprì alla Bornata di Brescia la prima fabbrica di birra italiana, seguito poco dopo da Antonio Dreher con il suo stabilimento a Trieste.  L’intraprendente Wührer, in breve riuscì a conquistare con la sua cervogia ( dal latino cervisia ) il tout Milan, ossia l’alta società che si dava convegno alla Birreria Stoker in Galleria.
Quel locale, ingentilito da kellerine viennesi  ( cameriere con la crestina arricciata e il grembiulino di pizzo)  e rallegrato da fior di orchestra d’archi, specializzata nei valzer di Strauss, in seguito fu trasformato nel ristorante Savini, destinato a futura celebrità. Venne così sfrattata la wienerschnitzel per far posto alla costoletta alla milanese. Bandita anche la birra, ritenuta troppo proletaria, per lasciare spazio ai vini  piemontesi più maestosi, Barolo in testa. Senza tralasciare le migliori espressioni delle cantine dell’OltrepòPavese. E inoltre dando spazio ai nettari gardesani di spicco, come il Chiaretto di Moniga, il Lugana  e il Bardolino.

Non fu soltanto sentimentalismo, quello delle bosinate ottocentesche. Vi sono anche scampoli di ballate satiriche, come nel Ridicol matrimoni, dove si cantano disinvoltamente mottetti di questo genere: “Hanno invitato tutta la porta e tutti i parenti/ e poeu han mangià per la grand famm/ vottanta chili de salamm/  quaranta gajn, cinquanta cappon/ treei padej de risotto gial / quatter sleppe de .... /  Tre cavagn tra uga  e per / quatter mastei de caffè neer / e han bevuu a squarciagola/ pien de vin finna al coppin...”

Nella trascrizione del testo, inserito in un opuscolo rievocativo dello spettacolo Milanin Milanon, tenutosi nel giardino di Villa Reale a Milano, all’inizio degli anni Sessanta,  non si dice di cosa siano quelle quattro sleppe ( fettone). Probabilmente, sarà stata polenta, oppure cotechino. Tralasciamo il dubbio e andiamo invece a leggere il succoso ritratto della sposa: “Vedella in camisa la me par on cammell/ la g’ ha  el stomegh ch’ el me par un tecett/ che per  impienill ghe voer el buffet”.

Una calzante anticipazione descrittiva del ridondante nudo femminile di Botero, statua esposta recentemente in piazza Duomo a Milano e subito imbrattato dagli instancabili  writers di turno. Ma ecco il suggerimento per chi si accinge a prendere moglie: “ Oej giovinotti tornì indré/ se  gh’hi voeuja de  toeu miee/  Oej dimm a traa a mi fee ona robba precisa, guardì ben  quand  l’è in camisa “. Oh giovinotti tornate indietro/ se avete voglia di prender moglie/ datemi ascolto e fate una cosa precisa/ guardatela bene quando è in camicia.

° Ai tempi delle grandi fortune del settimanale satirico L’Asino, fondato nel 1892 da Guido Podrecca e poi diretto dal caricaturista  Gabriele Galantara, fino al 1925, come contraltare delle bosinate milanesi, non mancano, accanto alle vignette satiriche, che anticipano quelle degli odierni Giannelli e Forattini, taluni motivetti che deridono non solo i grandi interpreti del nostro Risorgimento ma anche la maestosa regina Vittoria d’Inghilterra. Come dimostrano questi versetti : “ E la Cicilia l’è on’isoletta,/ l’è un’isoletta in mezzo al mar, la-rallalà,/ e la Cicilia l’è un’isoletta / noi la faremo sprofondar.” .... “ Detto fatto, si suona il campanello/ salta fuori Vittorio Emanuello./ E Garibaldi faceva l’oste ,/ Napoleone il cameriere,/ e la regina  dell’Inghilprussia/ la ghe lavava giò i biccer.”
° Tra gli anni Trenta e i Settanta, domina la scena della musica leggera Giovanni D’Anzi, autore di centinaia di canzoni, alcune delle quali diventate celebri: Sotto le Stelle, Non dimenticar le mie parole, Ma l’amore no (cantata da Alida Valli, nel film Stasera niente di nuovo). Il versatile pianista milanese compone anche eccellenti motivi dialettali come questo: “ Mi sont el Barbisin de la Mojazza/ e mangi e bevi a sbafo tutt’el dì:/cont mi ghe no de trop el ganassa,/ se guardi in faccia vun t’el fo stremì ! “
Senza contare la celeberrima  O mia bela Madonina cantata in tutta Italia:
“… Vedè la Madonina, sentì el me bel dialett,/ sveliass ona matina in del me
lett ! O mamma mia, inscì lontan,! T’el giuri, piangiaria pur de vess a Milan “.
° Quando, agli inizi degli anni Sessanta, rinasce il cabaret al mitico Derby, abbandonato dopo le esibizioni di Gino Franzi, interprete di Come una coppa di Champagne, Fili d’oro e Scettico blues, irrompe sul palco un giovane cantautore di grande talento, ossia Enzo Jannacci. Diventa di botto famoso per il suo trascinante ritornello El portava i scarp del tennis.

Ma non meno icastica e divertente la sua ballata “Per on basin”, di cui stralciamo una sestina:  “ Passa mezz’ora ma sonava el  violin/ contegno. On alter bicer de vin/ me guardi in gir gh’eren tanti tosann/ ma non è facile andà su a ballà/ mi s’eri sol e gh’avevi vergogna a cercà / “ Lei balla soltanto Foxtrot ? “
Piuttosto impacciato e maldestro quel giovanotto sulla pista da ballo, ma pieno di sacro fuoco dentro il petto. Difatti, così prosegue il madrigale con queste strofette: “Per on basin/ mi so no ma quella sera  / avaria  daa la vitta intrega/ propri inscì/ per on basin, frin frin/ per on basin. /  Mi saria partii soldato/ saria andato a Como in moto/ poi saria torna a cà a pee. “. Purtroppo, siccome l’avance si è fatta troppo ardita, ecco che arrivano i carabinieri e cacciano il bellimbusto dalla balera. Non solo, gli mordono persino un piede. El me sgagna  anca un pee.
° Ma torniamo all’ineguagliabile D’Anzi, che fu maestro anche nello scrivere e strumentare la canzonetta di costume. Come questa, ripetuta a lungo alla radio, nella trasmissione dialettale “Ciciarem on cicinin” di Attilio Carosso:  
“La gagarella del Biffi Scala/ foo no per di ma l’è propi ciola.....
Ghe pias la pizza con scigola .... a me piacciono le Morris e le Cammel / oh le Cammel ancor di più .... ed annego i dispiaceri con il Kummel, con el Kummel  e nulla più “ .  E poi alla fine arriva la frustata moralista :  “ O gagarella del Biffi Scala/ toeu  su  i to liber e torna a scoeula,/ Milan l’è stuffa de sopportà / le gagarelle coi suoi gagà !“

Siamo agli albori dell’emancipazione femminista e le ragazze della Milano bene osano fumare le prime sigarette in pubblico. Mentre appare persino patetico quel liquorino tratto dal cumino dei prati, più adatto alla pasticceria che non a mitigare le delusioni amorose. Ciò significa che non sono ancora entrati in azione i whisky doppio malto, né tantomeno le gagarelle osano lo Champagne. La morale corrente, sotto la spinta delle suore canossiane, allora vietava alle educande ma anche alle loro madri, il consumo in pubblico dei vini e dei liquori di qualsiasi specie. Solo a Natale e a Capodanno era concessa una coppetta di spumantino.
E daghèla avanti un passo! Ma qui siamo a La Bella Gigogin, canzone popolaresca, ossia bosinata del 1859. Invece, durante la prima guerra mondiale, i milanesun, seduti all’osteria, cantavano a squarciagola : “La moglie di Cecco Beppe/ faceva la tranviera, l’ho vista ieri sera, / sul tram con la ligèra./ Bin,bom, bon…”. Laddove la ligèra era una compagnia di giovani sbandati, talvolta mantenuti di prostitute.” Quand s’eri giovina e stavi in Ludovica/ sta insemma a quel balord, se l’era bell !”. Il testo di questa canzon fu firmato dall’attuale premio Nobel Dario Fo, mentre l’autore della musica era l’indimenticabile Fiorenzo Carpi.                                                                              
                                                                                           Luciano Imbriani


                                     







PREMIO 
MORTETTI
IN pool
position

Giunto ormai alla quarta edizione , destinato a quel giornalista che nel corso dell’anno precedente si è distinto per aver firmato articoli/servizi di valore sui temi cnnessi alla  diffusine della cultura alimentare

LA CUCINA
del Corriere della Sera
Una stella nel firmamento delle riviste di cucina gni mese una squadra di chef, nutrizionisti, enologi, pasticceri, giornalisti e fotografi accompagna i lettori (tanti) alla scoperta delle bontà e delle eccellenze enogastronomiche vicine e lontane.
Nato nel 2009, La Cucina è un prodotto estremamente ricercato nella forma (ogni numero è brossurato) e nei contenuti, confezionato per un pubblico esigente alla ricerca dei piccoli- grandi segreti dell’arte culinaria.
La pubblicazione vanta, tra l‘altro, la collaborazione de “L‘accademia dei maestri pasticcerei Italiani“ e dell’Associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe”.Mese dopo mese La Cucina segue il ritmo delle stagioni e porta sulle tavole idee e suggerimenti per realizzare piatti buoni da mangiare e belli da vedere.
Ce n‘è davvero per tutti i gusti: circa 150 pagine con oltre 80 ricette, classiche e innovative, interessanti spunti culinari provenienti da ogni angolo del mondo, pillole di cultura enogastronomica, consigli per scoprire itinerari ‘golosi’. Il tutto amalgamato con passione mediterranea.
In un periodo di crisi in cui molte case editrici si trovano obbligate a chiudere testate e a smantellare intere redazioni, La Cucina, con le sue 70.000 copie, rappresenta un caso di successo contribuendo a divulgare, in maniera seria ma con toni assai gradevoli, la nostra
cultura alimentare.

Per la prima volta il Corriere della Sera offre ai suoi lettori una collana articolata in uscite mensili, introducendo una nuova formula nello scenario dell‘editoria di opere collaterali.

GIANNI E PAOLA MURA
La coppia Gourmand
del Venerdì di Repubblica premio
Gianni Mura nasce a Milano nel 1945. Dopo gli studi classici, si iscrive alla facoltà di Lettere
Moderne e nel 1964 inizia a lavorare alla Gazzetta dello sport. Giornalista professionista dal
1967, ha scritto anche per il Corriere dell’informazione, Epoca e L‘Occhio.
Dal 1976 collabora con il quotidiano La Repubblica, su cui scrive ogni domenica, e per tutta la durata del campionato di calcio di serie A, la rubrica intitolata “Sette giorni di cattivi pensierl’.
Simpatizza per l‘lnter, ama giocare a carte, andare a funghi, fare anagrammi.
Nel maggio 2007, edito da Feltrinelli, è uscito il suo primo romanzo “Giallo su giallo“, ambientato durante lo svolgimento del Tour de France, corsa che il giornalista segue da tempo.
Ma la sua vera passione (dichiarata) è la buona cucina. Non a caso, dal 1991 cura una rubrica di enogastronomia (Mangia&bevi) sul settimanale “Il Venerdì di Repubblica“. Un appuntamento
fisso per tantissimi lettori amanti della buona e sana cucina ..
A lui fa eco sulle stesse pagine la moglie Paola con la ‘pillola’ La Bottiglia: poche ma preziose righe, sempre precise e spesso poetiche, per raccontare di vitigni, cantine e vendemmie. Plus:

BENEDETTA PARODI
Il volto fresco (e vincente) del giornalismo gastronomico.

Benedetta Parodi (Alessandria, 1972), laureata in lettere Moderne, è una giornalista e scrittrice italiana. Nel recente passato è stata conduttrice di Studio Aperto, telegiornale del canale televisivo Italia 1, solitamente durante l’edizione delle 12.25. A partire dalla fine del
2008, abbandonata la conduzione, tiene all’interno dello stesso notiziario la rubrica culinaria Cotto e mangiato che, registrata direttamente nella cucina di casa sua, presenta nuove ricette
per piatti sfiziosi e facili da realizzare. La rubrica riscuote fin da subito un grande successo di pubblico. Tant’è che, nel 2010, l’appuntamento in video viene raddoppiato: alle 13.40 viene
trasmesso Cotto e mangiato - /I menù del giorno. Quattro ricette già realizzate, che Benedetta presenta e introduce in maniera nuova per realizzare un menù per la serata.

Nel 2011 lascia Mediaset e passa a LA7 per condurre il programma I menù di Benedetta in  onda dal lunedì al sabato alle 12.25. In ogni puntata viene proposto un menù completo e un piatto dedicato ai bambini. È inoltre prevista la presenza di un ospite che, con la conduttrice, prepara una ricetta. Il programma si conclude con alcuni consigli pratici per la gestione della casa. I menù di Benedetta diviene anche il titolo del terzo libro scritto dalla conduttrice.

Benedetta, si diceva, è infatti anche scrittrice. Prima di quest’ultima fatica, ha pubblicato altri due libri di ricette: Cotto e Mangiato (2009) e Benvenuti nella mia cucina (2010). Due best

GLORIA CIABATTONI
Dalla carta stampata al web: la firma golosa di QN-Quotidiano Nazionale Dopo la laurea in lettere moderne e alcune collaborazioni con riviste di Bologna, Gloria Ciabattoni matura le prime importanti esperienze giornalistiche in Rai. È datato 1985 il suo ingresso alla Poligrafici Editoriale, il quinto gruppo editoriale italiano a cui, fra le altre testate, fa capo anche il QN-Quotidiano Nazionale, capofila del network che raggruppa /I Giorno, La Nazione e /I Resto del Carlino.

Di QN è oggi capo redattore, responsabile delle stuzzicanti e assai godibili pagine dedicate
all’enogastronomia: percorsi sulle vie del gusto, interviste agli chef, nuove tendenze alimentari.
E tanto altro ancora, fra diete e peccati di gola.

Per QN cura anche ‘Di Cibo di Vini’, all’interno della sezione del sito del Gruppo dedicata ai piccoli-grandi piaceri della tavola.
Attenta, puntuale, mai scontata, Gloria Ciabattoni si muove da anni nel mondo del giornalismo enogastronomico firmando articoli, servizi e reportage dai toni amabilmente divulgativi.
Ama viaggiare, ha un debole per gli animali e si interessa di storia e di archeologia.
LA VACANZA
 IN CANTINA
  E’ italiano, di età tra i 30 e i 50 anni (7 su 10 sono under 50) e internauta. Pianifica le proprie vacanze autonomamente sul web, viaggia in coppia o in un gruppo di amici e cerca un’offerta integrata che al vino abbini cultura, sport, natura e benessere. Visita le cantine tutto l’anno, non solo nel periodo estivo, dove spende fino a 100 euro. E’ l’identikit dell’enoturista tracciato nell’indagine CST- Movimento Turismo Vino “Il volto dell’enoturista oggi”, condotta sulle cantine del Movimento e diffusa oggi nella Conferenza Internazionale dell’Enoturismo di Perugia. La ricerca sarà presentata domani dalla presidente del Movimento Turismo Vino, Chiara Lungarotti. All’enoturista piace la vacanza fai da te: secondo il 66,3% dei produttori, 2 clienti su 3 scelgono il proprio itinerario e la propria visita in cantina in maniera indipendente su internet, senza affidarsi all’intermediazione di tour operator. Fanno eccezione il Sud e le isole, dove c’è un’incidenza maggiore di viaggi organizzati. A fare da traino nella scelta dei visitatori è soprattutto il sito web dell’azienda, molto più efficace dei tradizionali strumenti di promozione e in grado di attrarre e intercettare crescenti fasce di pubblico. Non solo: oltre la metà dei produttori dichiara che è il mezzo più utilizzato per registrare il cliente e ricontattarlo dopo la visita.
Presenze e modalità di spesa. Il 61,3% dei visitatori è di sesso maschile. Ad arrivare nelle cantine soprattutto i turisti italiani: il 62% delle presenze (per lo più in coppia o in gruppi di amici) contro il 38% degli stranieri.  Ma sono questi ultimi a spendere di più: secondo l’esperienza delle aziende, su una spesa media di 50 euro in cantina (che può arrivare fino ai 100 euro a visita), il turista straniero è nel 65% dei casi molto più propenso a spendere per portare a casa i prodotti del territorio che ha visitato. A questa cifra vanno poi aggiunti i costi per il pernottamento e le altre attività, per arrivare ad una spesa media procapite giornaliera di 193 euro, come confermato dal Censis. Dato che supera notevolmente la spesa media nazionale (90 euro).
Periodi di visita e domanda. L’enoturismo alimenta flussi turistici piuttosto destagionalizzati. Sul fronte dell’affluenza poche le differenze tra primavera ed estate: a seconda dei periodi dell’anno cambia invece la tipologia dei visitatori. In termini assoluti, a sorpresa, il mese preferito dagli enoturisti è Maggio (per il 38% degli intervistati), seguito da Agosto (15%), Settembre (13,5%), Luglio (11,1%) e Giugno (7,9%). I residenti o chi abita nelle località limitrofe preferiscono i mesi primaverili e invernali; ad arrivare in cantina in autunno sono gli escursionisti giornalieri mentre la primavera è una stagione per tutti i gusti. A scegliere i mesi estivi invece soprattutto i turisti che pernottano nei dintorni e che alla vacanza abbinano la visita in cantina: rappresentano tra il 50% e il 75% delle presenze estive per il 47% dei produttori. Contrariamente ai luoghi comuni, la cantina non è solo una meta da week end (45%): le visite sono spalmate anche nei giorni feriali (55%). Si conferma inoltre il binomio vincente turismo-vino. La vacanza enoturistica è spesso abbinata alla visita giornaliera dei luoghi circostanti, a riprova che - oltre al turismo del vino come scelta esclusiva - esiste un importante segmento di pubblico che intercetta un’offerta integrata (cultura, eventi, sport) dei territori.  “Questo tipo di offerta costituisce un asset strategico – ha detto la presidente del Movimento Turismo Vino, Chiara Lungarotti -  sul quale è indispensabile puntare per sfruttare appieno le potenzialità di crescita dell’enoturismo, che ad oggi sono solo al 20%. Occorre perciò che tutti gli attori,  pubblici e non, accelerino il passo per valorizzare in maniera globale i territori italiani, abbinando patrimonio culturale, eventi di promozione, qualità della produzione enologica e turismo ambientale”.
Attività. Per il 90% dei produttori l’attività prediletta dalla stragrande maggioranza dei visitatori è la degustazione dei vini, alla quale si abbina spesso la visita guidata all’azienda e in cantina (81%). Anche la visita ai vigneti e l’assaggio di prodotti del territorio rappresentano un richiamo molto efficace per oltre la metà del campione;  meno gettonate sembrano le cene a tema, (cui aderiscono pochissimi visitatori secondo il 43,7% degli intervistati) e altre attività come corsi e incontri con esperti. Grande riscontro di pubblico e ricadute molto positive sulle aziende porta l’evento Cantine Aperte (cui partecipa la totalità degli intervistati) che per l’86,9% degli intervistati è in grado di attrarre una percentuale “alta” e “molto alta” di visitatori. A seguire Calici di Stelle (29,7%) e San Martino in Cantina (17,15%).
Per contatto:
InterCOM ufficio stampa IWINETC per Movimento Turismo Vino
Ilaria Koeppen 334.3486392 koeppen@agenziaintercom.it
Marina Catenacci 349.8212419 stampa@agenziaintercom.it
Ilaria Koeppen 334.3486392 koeppen@agenziaintercom.it
Marina Catenacci 349.8212419 stampa@agenziaintercom.it







Baccalà storyory

Il nome del baccalà deriva dallo spagnolo bacalao o dal fiammingo bakeljauve. In Italia la preparazione più famosa è quella del baccalà alla vicentina che però viene realizzata con lo stoccafisso, sempre a base di merluzzo, però disseccato mediante una prolungata esposizione al sole. Prima del consumo deve essere  dissalato ma quasi ovunque lo si vende già ammollato.Il buon baccalà deve essere morbido,carnoso, con fibre compatte ma non legnose e una consistenza, a cottura ultimata, di poco superiore a quella del merluzzo fresco.
In dietetica, la composizione del baccalà, alias stoccafisso o pesce bastone, dal tedesco stockfish, è per 100 grammi , di 21,60 di proteine, lipidi 1,04,glucidi 1,32,vitamina B 0,32, calcio 31 mg, fosforo 562 mg, ferro 227 mg, calorie 107. E’ indubbiamente un alimento ricco di proteine di alto valore biologico, molto povero di grassi. Trova indicazione nelle diete a basso valore calorico, a patto di non essere caricato di condimenti. Risulta essere un eccellente sostituto delle carni. Per il suo scarso contenuto in purine, viene in particolare consigliato ai soggetti affetti  da iperuricemie e da gotta. Inoltre, per la sua dotazione in ferro è indicato per gli anemici.
                                           
                                                             
I mitici tortellini

Sono un tipo di pasta speciale, ripieni per lo più di carne ma anche di verdure, come nel caso dei tortelli di zucca, specialità della cucina mantovana . Nel secondo canto  del poema burlesco “La secchia rapita” di Alessandro Tassoni si narra  che sarebbe stato un oste “guercio e bolognese” a inventare  questa specialità gastronomica,di fattura simile all’ombelico di Venere, dopo aver sognato la dea  dormiente fra le fresche frasche di Castelfranco Emilia.
La cottura più accorsata di questa vivanda è quella  dei tortellini in brodo di carne e serviti , dopo pochi minuti, con aggiunta di formaggio grana grattugiato. Oggi i .tortellini  di confezione casalinga sono stati soppiantati quasi del tutto da quelli di fattura industriale  venduti in busta chiusa. Del resto, assai competitivi, oppure  dagli esemplari  confezionati dalle botteghe artigianali. :In cucina oltre ai tortellini in brodo si realizzano altri piatti tematici come i tortellini alla panna, oppure alla besciamella: Vi sono anche i tortelli di magro con ripieno di ricotta e anche quelli  di patate e uova.
La composizione dietetica dei tortellini  varia in rapporto  alla  presenza degli ingredienti. Si può dire  in linea di massima che 100 g di questa  pasta ripiena  forniscono un apporto  di 9-10 proteine, 43 g di carboidrati, 10 g di grassi. Le calorie variano da  300  a 315. Tali dati possono anche  aumentare di specificità  se i tortellini sono  conditi con salse di pomodoro, oppure da altri condimenti . Logicamente l’assunzione dei tortellini  è maggiormente idonea per  soggetti di sano e robusto appetito. Sono ovviamente esclusi  nelle diete dimagranti , oppure per intolleranza alle paste ripiene.    
                                                                                     




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